giovedì 25 settembre 2014

Due libri bellissimi







La prima, la conoscevo di nome; della seconda non ne avevo mai sentito.

Sono le autrici degli ultimi due libri che mi hanno molto colpito: per qualità di scrittura e per la tematica, capace di far rivivere due, diverse, tragedie mondiali.



Entrambe citate, queste autrici, (insieme a molte altre) in un articolo di Pierluigi Battista che, qualche tempo fa, ad una domanda posta dalle giornaliste della 27Ora “perché gli uomini non leggono i romanzi scritti dalle donne? – ha risposto con un pezzo intitolato Io leggo le romanziere (ma non le italiane).

Clara Usòn ne La figlia mi ha fatto rivivere lo strazio della guerra che, qualche decennio fa, ha dilaniato la ex Jugoslavia. Chimamanda Ngozi Adichie con Metà di un sole giallo mi ha riportato al tempo in cui le immagini provenienti dal Biafra erano la metafora della fame e della povertà.

Due libri magnifici, da leggere.



(L’articolo di Battista si chiude con un P.S. –  Ho deliberatamente omesso ogni riferimento alle scrittrici italiane viventi, Provate a immaginare come mai – che sarebbe interessante esplicitasse. Anche perché, di italiane, non mi pare ne abbia citate neppure di defunte)

domenica 21 settembre 2014

Anime Nere. Il dibattito sì





Che tu possa concludere con la speranza, Maria è disarmante, al di là del pezzo, che mi è piaciuto.

La speranza non sta nella situazione che è disperata, ma nel fatto che negli ultimi anni, da Gangemi a Criaco (senza dimenticare il tuo L’estate che perdemmo Dio) la Calabria ha cominciato a “leggere” la parte brutta che contiene in sé: e, questo, secondo me, è il primo, fondamentale passo che le può consentire di non perdersi definitivamente

Forse. Io sono molto pessimista, su questo.

Non hai torto ad essere pessimista, ma, per amore alla mia terra, nel caso voglio essere gramsciana: il pessimismo dell'intelligenza e l'ottimismo della volontà; grazie dell'attenzione e buone cose a te.


Queste battute su fb tra me e Rosella Postorino (ne approfitto per rimandare alla lettura del suo ultimo libro Il corpo docile) riguardano il pezzo che segue, Anime Nere. Il favorite di Africo al mondo pubblicato su Zoomsud.

Come è giusto che sia per un film tanto atteso e di argomento così forte, Anime Nere di Munzi (e Criaco) sta innestando dibattiti che, probabilmente, continueranno e si approfondiranno, quando dalle reazioni a caldo si passerà alla fase del ripensamento.


Questa, comunque, è stata la mia prima impressione:


È stata la grande cortesia di Gioacchino Criaco a farmi scoprire appena due anni fa l’estrema bellezza, non solo paesaggistica ma di energie umane, di Africo.*
Paese che, prima, avevo conosciuto solo in troppi titoli di cronaca nera e giudiziaria, nell’omonimo testo di Stajano e nel libro dello stesso Gioacchino, Anime Nere. (Avrei letto, poi, gli altri suoi due libri, Zefira e American Taste)
Rivedendo ieri, nel film di Munzi da qualche giorno in programmazione in Italia, il casolare dove ospiti gentili avevano imbandito un profumato e saporoso favorite, mi ha fatto piacere pensare che quel pranzo è offerto, adesso, a chiunque vorrà vedere la versione cinematografica del testo di Criaco (di nuovo anche in libreria, riedito da Rubbettino).
Un pranzo, s’intende, di conoscenza: quel genere di conoscenza, fatta di idee ed emozioni, di respiri trattenuti e di occhi spalancati, di tagli sul cuore e di pensieri che non ti lasciano, di buio che s’illumina, di luce che s’oscura e di oscurità in cui s’accende nuova luce che solo alcuni libri (alcuni quadri, alcune musiche) e alcuni film riescono a trasmettere.
Quando qualcuno – nel nostro caso, l’autore del libro e il regista di Anime Nere – è capace di restituire, al lettore e/o allo spettatore, la sua visione di un pezzo di mondo: non nella superficialità di una foto banale, ma nello scatto intenso che radiografa frammenti d’anima.
Non sono identici libro e film. Anzi, in qualche modo, il film appare come un possibile epilogo del primo. Nel libro, il viaggio infernale dei tre amici si muove dalla Calabria verso il Nord Italia e l’Europa. Nel film, dai traffici mondiali, due fratelli tornano dal terzo in Calabria, dove la storia era iniziata (un articolo di giornale ci rimanda all’epoca dei sequestri di persona) e dove esploderà, meglio imploderà, in un finale inevitabilmente tragico.
Né nel libro né nel film, c’è traccia di lotta tra Bene e Male. Domina il Male ed è il Male, nel film ancora più evidentemente che nel libro, ad autodistruggersi.
Dopo aver per decenni mescolato, senza mai digerirle, pre e post-modernità, passioni ancestrali e indifferenze emozionali, residui d’abitudini secolari e rinnovata strafottenza ad ogni norma altra dalle proprie, ambiguità e complicità d’ogni tipo, in una frammentazione familiare superiore ad ogni diversa evidenza e in un paganesimo che nessuna litania riveste di cristianesimo – il fuoco (delle armi e del falò) annienta ciò che, prodotto dalla storia, storicamente deve morire.
Un libro è un libro e un film è un film. Vanno giudicati come tali. E Anime Nere è un libro da leggere e un film da vedere. Ma, se un libro e, soprattutto, un film sono vivi, non c’è dubbio che possono entrare a far parte del comune sentire, che orientino, in qualche modo, lo sguardo sul mondo**.
In questo senso, le Anime Nere di Munzi (e Criaco) può modificare una serie di cliché sulla Calabria e dire una parola forte sulla ‘ndrangheta. Termine, peraltro, che nel film non viene pronunciato mai.
Se una società si sa leggere, se una comunità sa dirsi – se, insomma, sa guardarsi, riconoscendo la vertiginosa bellezza delle sue vallate, la bruttura delle sue case a metà, l’ipocrisia di certa sua religiosità, il vuoto di certa sua etica, l’asfissia di certe sue relazioni, i lividi che ne imbruttiscono il volto, la vergogna di troppa sua vigliaccheria, la miseria di certa sua ricchezza, il nulla di certi suoi obiettivi di contro ai fascinosi orizzonti che stanno sotto i suoi occhi – non è del tutto finita.
Ha, ancora, nonostante tutto, un possibile cammino verso un’altra parola-realtà, domani, cui la pessima retorica non può togliere il senso di possibile speranza che il futuro porta in sé.



Pubblicato su Zoomsud:
http://www.zoomsud.it/index.php/commenti/72979-anime-nere-il-favorite-di-africo-al-mondo.html



Le foto si riferiscono alla domenica raccontata nel già citato pezzo Africo Antica. Il miracolo della Calabria che non c'è più

sabato 13 settembre 2014

Eduardo e la notte che non è ancora passata




Per molti anni, nel corridoio che porta alle aule di Nisida c’è stato un poster. Il volto – intelligente, austero, familiare – di Eduardo de Filippo con una delle sue più celebri battute: Addà passà ‘a nuttata. (Lo so che Eduardo ha scritto: Ha da passà ‘a nuttata: ma sul poster era scritto nel modo che ho riportato)

Il poster l’aveva pubblicato l’Unità dopo la morte del grande autore, avvenuta qualche settimana dopo del mio ingresso a Nisida come insegnante, ma il logo del giornale, su quel corridoio, non appariva: giustamente, ché quella immagine apparteneva davvero a tutti.

Qualche ragazzo l’aveva pure visto Eduardo, l’anno prima, quando, con gli occhiali chiari a sinistra e scuri a destra, era venuto a vedere l’inaugurazione del laboratorio di scenografia, aveva assistito ad una rappresentazione teatrale ed aveva abbozzato il disegno di quello che sarebbe divenuto il Teatro Eduardo de Filippo dell’Istituto. Tanto che, quando cominciai a lavorare sulla scrittura come racconto delle loro idee, esperienze ed emozioni, l’indimenticabile E. F. – un ragazzo che di errori d’ortografia ne faceva a bizzeffe ma riusciva a produrre versi che, talora, mi riecheggiavano Leopardi – scrisse anche una poesia per Nonno Eduardo.

Il poster rimase in quel corridoio, anche se fu ad un certo punto spostato di posizione, almeno una diecina d’anni. Poi – un po’ perché s’era sbrindellato ai lati, un po’ perché, ritinte le pareti, era sembrato troppo sciupato per rimettercelo, un po’, forse, chissà, perché quella frase sembrava in qualche modo troppo consolatoria – sparì.

Alla vigilia del trentesimo anniversario della morte di Eduardo, quella frase scritta nel 1945 – vista dalla parte dei ragazzi (dis)persi – resta del tutto attuale.

Certo, sono cambiate tant(issim)e cose. Ma Napoli (e non solo) fa crescere molto male troppi suoi ragazzi. Argomento che la tristissima vicenda del Rione Traiano non ha ancora (ri)portato al centro del dibattito.




mercoledì 10 settembre 2014

Nisida: ancora un libro per il nostro Parco letterario






Il narrare è l’atto stesso in cui si esalta la magia della parola, la sua capacità non solo informativa, ma performativa, cioè la sua efficacia trasformatrice e liberatrice... Il racconto è, dunque, una atto di fiducia e l’ascolto partecipe un atto d'amore. È «un cammino verso il senso» che scopri dipanando sia le fila della tua storia sia creando una vicenda esemplare pur se fittizia.

Gianfranco Ravasi

(dall’articolo A Dio piacciono le storie. Sant'Agostino, Sharazad, Proust, Calvino: narrare è salvarsi. Perché ogni racconto è un atto di fiducia che libera dal dolore
Corriere della Sera domenica 18 maggio 2014)


Dopo la Trilogia dei Racconti – Racconti per Nisida, Racconti per Nisida e l’unità d’Italia, Racconti per Nisida, isola d’Europa – e i due volumi su La Grammatica di Nisida e Parole come Pane. La Sintassi di Nisida, anche quest’anno, nel nostro Laboratorio di Lettura e Scrittura proveremo a scrivere un libro.




Il tema è fissato (ma ne diremo più in là) e questa è la squadra degli Autori:

Riccardo Brun
Antonio Menna
Antonella Ossorio
Viola Ardone
Patrizia Rinaldi
 
Valeria Parrella



Maurizio de Giovanni
Alessandro Gallo

Daniela de Crescenzo















Oggi sul Mattino, due pagine (34 e 35) sui Ragazzi sperduti che riprendono alcuni scritti dei ragazzi di Nisida, pubblicati nella Grammatica e nella Sintassi di Nisida: