sabato 26 luglio 2014

La frutta che non c'è, la provola Galbani e il pescespada





La mia Calabria non è che un pezzo minuscolo di terra (campagna e collinette) e il mare, immenso e circoscritto, che s’affaccia sull’Etna, una sorta di triangolo isoscele che contiene i secoli di storia che mi porto dentro. 

Era un pezzo di terra-mare di bellezza semplice, umile, e, insieme, assoluta e commovente, involgarito e abbruttito, nel tempo, dal tragico combinato composto di troppe (grandi) incurie e troppo (piccoli) interessi.

Quest’anno, si è aggiunto un guaio al cumulo dei guai. Sugli alberi, frutta non ce n’è, quella che supermercati offrono sa di poco e niente. Non è un problema solo locale. Anche in altre parti del paese, ho verificato la stessa situazione. Il clima strambo, l’inquinamento (aria, acqua, terra) crescente, un’attenzione all’agricoltura di molto inferiore alle necessità.

Che manchino (o siano troppo pallidi) i felici colori della brutta estiva, quel profumo di nettare degli dei che rallegrava la tavola, è un altro grano triste del rosario di tristezze che anno dopo anno si aggiungono (non voglio qui parlare dei tremendi olezzi che costringono a percorre alcuni pezzi della vecchia Nazionale coprendosi bene naso e bocca).

Non è anno, questo, per fare marmellate, una delle occupazioni estive più rituali e, per me, gradite. 

Nel fare la spesa, mi colpiscono due usi costanti nel tempo. 1. Qui si compra tanta provola Galbani. Era la provola che si usava decenni fa, è la provola dei panini di oggi. 2 Chi vuole coccolarsi, chi vuole festeggiare, chi vuole onorare l’ospite, va a comprare il pescespada. Passando davanti alla pescheria, anche se le canzoni poco fanno parte del mio mondo, mi ripassa in mente come la scia della voce di Modugno.

martedì 22 luglio 2014

Pasolini, il miglior fim su Gesù. Senza nessun "probabilmente"





“Un capolavoro, e probabilmente il miglior film su Gesù mai girato”. 
Lo scrive l’Osservatore Romano per i cinquanta anni de Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini.

Un bel e giusto riconoscimento.

Film inquietante (per la voce stentorea di Enrico Maria Salerno), per nulla addomesticabile nella nettezza della predicazione evangelica, pacificante per la sobria, intensa, ieratica bellezza dei luoghi, delle scene, degli sguardi. Un film che sbriciola ogni rappresentazione estetizzante, moralizzante, edulcorata, “religiosa” del Cristo, comunicando allo spettatore sete e fame di verità.

domenica 20 luglio 2014

Il mio ultimo Tuttolibri




 
Quando Tuttolibri aveva caratteri "normali"
Da moltissimo tempo, tra i miei primi impegni del sabato c’è l’acquisto della Stampa per non rischiare di perdermi l’allegato Tuttolibri.

Dal prossimo sabato questa frase, andrà letta al passato: Da moltissimo tempo, tra i miei primi impegni del sabato c’è stato ecc. ecc.

Perché, la Stampa (e Tuttolibri con lei), dopo essersi ridotta in altezza e larghezza, ha ormai un corpo che, a leggerlo, ci vuole una vista che non ho.

Mi verrebbe da dire, anche se è una battuta un po’ stupida, che la cultura dovrebbe illuminare, non rendere ciechi.


Ps Quello della dimensione dei caratteri è un punto che l’online stravince sul cartaceo.

giovedì 17 luglio 2014

Stoner, un libro bellissimo






A raccontarne la trama, Stoner può apparire un libro noioso e tristanzuolo. Ma non è così. La vita silenziosa del protagonista – il suo costante “non importa” che supera l’io debordante di tanto narcisismo letterario – incatena alle pagine e lascia emozioni profonde.

Un’esistenza “fallimentare” – come lo stesso Stoner la definisce nell’approssimarsi della morte (pagine straordinarie quelle che accompagnano la fine del protagonista) – dove la vita non viene mai maledetta, anzi quietamente abbracciata nei suoi limiti. Una vita qualunque narrata senza ombra di qualunquismo.

L’unica svolta effettiva di Stoner è il suo passaggio, all’Università, da Agraria a Letteratura Inglese. Dall’emozione all’ascolto di un sonetto di Shakespeare al suo primo (e unico) libro, dall’incontro con gli studenti, alle lezioni c’è davvero tanto dell’essere insegnante. Non uno eccelso, uno qualsiasi, mediocre si dirà lui stesso, eppure uno il cuore batte davanti a certe parole: «L’amore per la letteratura, per il linguaggio, per il mistero della mente e del cuore che si rivelano in quella minuta, strana e imprevedibile combinazione di lettere e parole, di neri e gelidi caratteri stampati sulla carta, l’amore che aveva nascosto come se fosse illecito e pericoloso, cominciò a esprimersi dapprima in modo incerto, poi con coraggio maggiore. Infine con orgoglio».

La letteratura non gli dà strumenti per affrontare in maniera migliore il rapporto con la moglie (un matrimonio fallito già entro il primo mese), la figlia (che perderà la bellezza infantile scappando dalla pessima aria dei suoi genitori), la giovane amante (che si sacrificherà per evitargli troppi problemi), ma resta la sua ancora interiore, quella per cui, nonostante ogni limite ed errore, manterrà una sua dignità. E che gli consente, arrivato alla fine, di avere una consapevolezza: «Era se stesso e sapeva cosa era stato».

Un libro bellissimo. Da rileggere.